TANINO BONIFACIO - 2008
Un diario di appunti sull'arte e l'uomo

ALDO GERBINO - 2003

GONZALO ALVAREZ GARCIA - 2002

TANINO BONIFACIO - 2000

FRANCESCO CARBONE - 1991

MATTEO COLLURA - 1975

 


TANINO BONIFACIO

Presentazione in catalogo in occasione della mostra personale presso
LOFT COMUNICAZIONE E ARTI VISIVE
Via Sammuzzo, 35 - Palermo

[…] nei linguaggi umani non c’è proposizione che non implichi l’universo intero; dire la tigre
è dire le tigri che la generarono, i cervi e le testuggini che divorò, il pascolo di cui si alimentarono i cervi, la terra che fu madre del pascolo, il cielo che dette luce alla terra.”
Così come la complessità dei linguaggi umani analizzata da Jorge Luis Borges, in un frammento del suo L’Aleph, anche la storia artistica di Franco Panella è il risultato di una catena di relazioni, un infinito intrecciarsi di esperienze vissute, di cose viste e assaporate, di universi pensati e attraversati.
Nel suo percorso creativo “non c’è proposizione che non implichi l’universo intero” della vita
e dell’arte, un vero avvilupparsi di sostanze ed esistenze che suggerisce l’immagine del fiume in piena che trascina con sé le cose più diverse, impensate o mai frequentate.
Se l’Aleph borgesiano è “il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli”, l’opera pittorica di Panella è un crogiolo esperenziale, un palinsesto nel quale abitano, si stratificano e convivono le molteplici esplorazioni linguistiche passate e presenti, programmate o casuali, esplorazioni realizzate in un viaggio creativo lungo più di vent’anni che oggi viene raccontato nella mostra antologica “Franco Panella 1988-2008”.
Questa antologica, percorrendo un itinerario umano e culturale, si propone la ricostruzione analitica di una intrigante avventura testimoniante quella grande capacità dell’artista siciliano di cogliere la dimensione poetica nella vita, al cospetto di un’arte contemporanea che, catapultata in un infinito hic et nunc e in un nevrotico bisogno di aderire al presente, riduce in macerie la storia del Pensiero creativo.
Una mostra la quale racconta di un’opera d’arte frutto di passaggi formali e contenutistici, costruita mediante l’accumulo, la sovrapposizione di energie sempre aperte allo sguardo del fruitore, opera narrata con una personale ed originale fedeltà formale tanto da divenire riconoscibile, fortemente identitaria e leggibile istintivamente.
Un’antologica non preoccupata di offrire una lettura organica o un “unicum poetico”, che non propone l’esercizio di intenti programmatici, ma che riunisce in sé le tracce indiziarie di pensieri, intuizioni, variazioni tematiche ed esistenziali.
Benché si precisano date e si ripercorrono linguaggi formali, “Franco Panella 1988-2008”
è una mostra priva di una mera filologia dello scorrere del tempo creativo e, dunque, si struttura attraverso il valore testimoniale di un’arte che nella sua storia ha attraversato la complessa fenomenologia dell’Informale, la semantica del segno simbolico inciso sui Muri, oppure l’emotività materico-geologica dei Libri-Pagine in terracotta come dichiarati affioramenti di un’estetica legata al bisogno di un pensiero primordiale.
Un iter di transizione stilistica che ha trovato nella materia la sua ragion d’essere, ieri materia informe e decomposta come grado zero dell’immagine, oggi esplicita narrazione delle memorie, dei frammenti della vita individuale e collettiva.
Con le ultime opere l’artista ci propone un rinnovato processo creativo che sul piano ideale e concettuale si affranca dal quel territorio già esperito dell’informale empatico, di un fare
pittorico contrassegnato da forti umori esistenziali. Dall’impetuosità del gesto corporale, dal brano espressivo fondato esclusivamente sulla realtà materica, come accadeva nel ciclo dei Muri (pagg. 16,17) o dei Libri-Pagine (pagg. 22,23), oggi Panella passa a concepire una nuova idea dell’arte fondata su dettami linguistici più razionali, un progetto ri-pensato, sensibile al tema della comunicazione e della fruizione dei significati.
Ne sono esempio le ambivalenze, le comparazioni, o meglio, le contrapposizioni appartenenti al ciclo dei dittici “Materie e Sguardi”, tavole che da un lato accumulano stratificazioni di archeologie materiche, segni di memorie fossili incastonate su terrecotte manufatte, dall’altro accolgono volti femminili come pura metafora del “corpo della pittura” e di quella natura umana obliata sotto l’incedere della marea del banale.
Tutto ciò fa dell’artista un uomo che ricerca nella, o nelle forme della vita presente la “visione” delle sostanze vere delle cose. Non la “visione” quale sogno o immaginazione, ma la “visione” come sguardo verso le forme seminascoste abitanti l’ombra, quelle forme della bellezza che precariamente sostano nei luoghi meno noti, nelle pieghe di una realtà solo apparentemente insondabile.
Per queste ragioni l’opera di Panella realizza l’esplicito tentativo di costruire una “poetica dello sguardo”, ovvero una nuova “visione” del reale, un nuovo modo di leggere quell’universo di immagini mediatizzate invadenti l’esistere, governanti il nostro guardare le piccole e grandi cose del quotidiano.
Dare consistenza all’ombra, ombra contenente l’imprevedibile frammento di realtà che l’artista mette in luce svelandone l’origine sensibile: oggetti, scritture, colori, suggestioni materiche, veri e propri catalizzatori espressivi di energia umana.
Siamo certi che questa mostra svela al pubblico un fare artistico autoriflessivo e un esercizio
investigativo rivolto soprattutto al campo del linguaggio. Una ricerca analitica la quale considera l’opera d’arte non solo come il dato terminale di un processo concettuale, ma anche o oprattutto come il luogo fisico e simbolico di una profonda meditazione intorno all’arte e all’uomo.
Per tale declinazione interrogativa questa mostra antologica non si presenta come una sequenza di lavori legati tra di loro da rapporti lineari, ma diviene un vero e proprio diario contenente gli appunti di ricerca sul quale l’artista ha annotato la geografia di territori sconosciuti, un nuovo regno dell’arte celebrante l’elogio del non finito e del non concluso quale identità basica della creazione.

Palermo, Febbraio 2008